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lunedì 8 febbraio 2021

MACE - OBE

Il 2021 inizia bene con questo "OBE" (acronimo di Out Of Body Experience), primo album del beatmaker milanese Mace, un volto ormai storico della scena rap italiana, avendo iniziato dagli anni 2000 col progetto La Crème. Come ogni producer album, sono tanti gli ospiti presenti, con alcuni big della scena rap italiana (Salmo, Guè Pequeno, Noyz Narcos, Jake La Furia, Fritz Da Cat), rapper emergenti (J Lord, Rosa Chemical, Side Baby) ma anche artisti provenienti da altri generi (Venerus, Colapesce, Joan Thiele).

Di seguito la mia reaction al disco:



sabato 26 dicembre 2020

JOJI - NECTAR

Anche quest'anno l'inverno incombe e si preannuncia più freddo e triste del solito. Ma per fortuna il 2020, nonostante tutto, ci ha regalato anche delle piccole, minuscole gioie, e personalmente una di queste è un album come "Nectar".

George Kusunoki Miller, in arte Joji, è uno degli artisti giapponesi (anche se è per metà australiano) più interessanti in circolazione, ma io lo definirei più come un genio dei nostri tempi: salito alla ribalta nei primi anni '10 come stella di Youtube coi suoi personaggi Filthy Frank e Pink Guy, i suoi canali hanno ricevuto milioni di visualizzazioni grazie a video politicamente scorretti e demenziali (ad oggi improponibili) nei quali il nostro, tra gag di black humor e 'degustazioni' di torte fatte di capelli e vomito, è riuscito anche ad inventare l'Harlem Shake, il balletto diventato virale nel 2013. Ma la cosa straordinaria, più unica che rara per chi viene dal mondo del web, è che Miller, una volta posati i panni dello youtuber sfacciato, è risultato comunque credibile nella nuova veste di cantante, come dimostra il buon successo riscosso dall'EP "In Tongues" del 2017 e soprattutto dall'ottimo disco di debutto "Ballads 1" del 2018, certificato anche disco d'oro.

"Nectar" è il suo secondo album e, come il suo predecessore, propone un sound Pop/R&B dal mood malinconico, nel quale Joji con la sua voce vellutata ci mostra la sua anima vulnerabile, in bilico tra crisi sentimentali e insofferenza verso il suo nuovo status di cantante famoso. Dettaglio non trascurabile, "Nectar" ha ben diciotto tracce, che però riesce a controbilanciare con una discreta varietà di suoni, pur mantenendo il suo 'tocco' triste e delicato: nel disco infatti sono presenti momenti più intensi come l'orchestrale opener "Ew", la minimale "Modus" e la bella ballad "Like You Do", brani più tipicamente pop come gli ottimi singoli "Daylight" (prodotto da Diplo), "Sanctuary" e "Gimme Love", ed episodi dalle vibes che sfiorano il rock ("Run") e l'hip hop ("Tick Tock" e "Pretty Boy" insieme al rapper Lil Yachty). Non mancano anche pezzi più legati agli esordi lo-fi dell'artista come "Upgrade", mentre nella parte finale dell'album si possono rintracciare maggiori incursioni elettroniche ("777", "Reanimator") quasi al limite della dance, come nella conclusiva "Your Man".

Pur con una tracklist piuttosto sostanziosa (che forse poteva essere leggermente snellita), e pur senza una vera e propria hit sulla scia di quella "Slow Dancing In The Dark" che lo ha reso noto a molti, questo album conferma Joji come uno dei migliori artisti Pop/R&B degli ultimi anni, riuscendo non solo a mantenersi sul livello di "Ballads 1" ma di esserne in un certo senso la sua (piccola) evoluzione, grazie ad una maggiore varietà sonora.

L'inverno sta arrivando. Lasciatevi cullare da "Nectar".

giovedì 8 marzo 2018

NUOVE USCITE GENNAIO-FEBBRAIO 2018


Musicalmente il 2018 è iniziato un po' in sordina. In questi primi mesi, tra un ritaglio di tempo e l'altro, ho avuto modo di ascoltare cinque album usciti tra Gennaio e Febbraio, e queste sono le mie mini-recensioni:

Starcrawler - Starcrawler [19/01]
*** | Rock | Tracce consigliate: I Love LA, Tears
Debutto frizzante e grezzo ma anche molto derivativo per questa giovane band californiana che pesca a piene mani dal rock anni Settanta (The Stooges, Black Sabbath) e Novanta (Nirvana). Con un pizzico di personalità in più potrebbero dare un contributo importante alla (ipotetica) rinascita del rock.

Justin Timberlake - Man Of The Woods [02/02]
** | Pop | Tracce consigliate: Midnight Summer Jam, Say Something
L'interessante intenzione dell'ex Nsync di unire sonorità moderne con la tradizione americana (con l'aiuto dei producer Neptunes e Timbaland) viene vanificato dal risultato finale: Man Of The Woods è un album con molti alti e bassi, con una tracklist che anche stavolta poteva essere ridotta e resa più digeribile. Una mezza delusione.

- Franz Ferdinand - Always Ascending [09/02]
**½ | Rock | Tracce consigliate: Always Ascending, Feel The Love Go
In poche parole, Always Ascending è l'album che ci si aspetta dai Franz Ferdinand, quindi rock danzereccio e abbastanza disimpegnato, ma stavolta con un pizzico di elettronica in più, dovuta dal fatto che la produzione è stata affidata a Philippe Zdar, membro dell'electro duo Cassius. Un disco che, personalmente, scorre senza lasciare molto.

Black Panther: The Album [09/02]
*** | Hip-Hop | Tracce consigliate: All The Stars, Paramedic!
Colonna sonora di livello per Black Panther, nuovo film della Marvel, curata dalla crew californiana TDE ed in particolare dal suo esponente di maggiore spicco, Kendrick Lamar. Una compilation varia e con molti artisti di rilievo della scena hip hop e non solo (The Weeknd, Future, Vince Staples, James Blake), che nelle sue quattordici tracce unisce il rap e l'rnb con influenze africane, il linea con il tema del film. Assolutamente niente male per essere una 'semplice' colonna sonora.

MGMT - Little Dark Age [09/02]
*** | Indie Pop | Tracce consigliate: Me And Michael, Hand It Over
Ad undici anni di distanza dal debutto Oracular Spectacular gli MGMT recuperano un po' dell'orecchiabilità di quel disco grazie a sonorità synth-pop dal sapore anni Ottanta. Nonostante dei cali durante la seconda metà del disco, decisamente più sperimentale, Little Dark Age si può considerare un album tutto sommato piacevole.

mercoledì 28 giugno 2017

CONTROL (A. CORBIJN)


Nel 2007, dieci anni fa, uscì Control, l'ottimo debutto cinematografico del regista Anton Corbijn, noto prima di allora per aver realizzato videoclip musicali per grandi gruppi come U2, Depeche Mode e Nirvana.

Control racconta la tormentata storia di una grande icona del rock, ossia Ian Curtis, leader dei Joy Division. La pellicola, che segue fedelmente la biografia dell'ex moglie Deborah "Touching From A Distance", ripercorre le tappe più importanti della vita di Curtis (un eccezionale Sam Riley) a partire dall'adolescenza, ma anche della carriera degli stessi Joy Division. Un percorso in bianco e nero che passa dai Warsaw (il nome della band agli esordi), dalle prime performance televisive e dai primi tour, dalle canzoni che verranno composte per il capolavoro Unknown Pleasures (tra cui "She's Lost Control", da cui è tratto il titolo del film), fino alla crisi che porterà Curtis al suicidio e al conseguente scioglimento del gruppo, che proseguirà col nuovo nome New Order.

Il difetto di questa opera è sostanzialmente uno: quello di non aver approfondito a pieno le cause che hanno spinto il cantante inglese alla sua tragica decisione, puntando un po' troppo sulle sue vicende sentimentali. Il suo malessere fu la conseguenza di una depressione e di un male di vivere talmente forti che sembra riduttivo concentrarsi solamente sulla travagliata relazione con la moglie.

Riassumendo, Control è un buon 'strumento' per conoscere la storia dei Joy Division e del loro leader. Da vedere per i fans, vivamente consigliato per tutti gli altri.

lunedì 29 maggio 2017

LINKIN PARK - ONE MORE LIGHT


I Linkin Park sono usciti finalmente allo scoperto. In questi anni ci hanno girato intorno ma alla fine sono riusciti ad abbandonare il rock per realizzare un album che si può definire pop a tutti gli effetti. Il problema però non è che "non sono più quelli di Hybrid Theory" perché non lo sono da almeno dieci anni, è che One More Light è proprio un brutto album in generale.

A questo punto, se questi erano gli intenti di Chester Bennington e soci, non capisco veramente il senso di pubblicare nel 2014 un disco come The Hunting Party che faceva intendere un ritorno, seppur minimo, verso sonorità più ruvide. La considerazione che ne viene fuori è che il processo evolutivo del sound dei Linkin Park risulti alquanto sconclusionato. A Thousand Suns e soprattutto Living Things, pur essendo due lavori piuttosto mediocri, avevano tracciato la linea per il futuro ed è da lì che si sarebbe dovuto sviluppare il nuovo suono della band: un pop rock dai forti connotati elettronici che strizza l'occhio alle classifiche ma anche alle nuove generazioni 'alternative'. E invece prima un trascurabile album di remix ultra tamarri (Recharged), poi un disco (il già citato The Hunting Party) che ha segnato un passo indietro verso il passato 'heavy', e poi di colpo l'improvvisa virata pop di questo nuovo album. Una virata che ha portato i Linkin Park in un territorio molto spinoso, da cui ne sono usciti con le ossa rotte, perché fare un buon album pop non è per niente facile, e lo è ancora meno accontentare la propria fan-base, la critica e avere anche buoni riscontri di vendite.

In sostanza One More Light è un disco anonimo e tutt'altro che ispirato, con un tappeto sonoro impalpabile che rende le canzoni piatte e monotone, senza contare alcune scelte discutibili come le vocine pitchate di sottofondo messe qua e là tanto perché vanno di moda. Le tracce sono tutte pervase di melodia, senza 'guizzi' particolari, e l'elettronica la fa da padrona: l'unico episodio vagamente rock è "Talking To Myself", mentre "Good Goodbye" rappresenta la traccia hip hop oriented, con la presenza di Pusha T e Stormzy che però non fanno la differenza. Il singolo "Heavy" non è 'commerciale' come dovrebbe essere e sfigura nel confronto con le hit del momento (ma anche con quelle del loro stesso repertorio), mentre un discreto esempio di 'orecchiabilità' è "Invisible", l'unica canzone cantata interamente da Mike Shinoda. Menzione a parte per la title-track, minimale ma intensa, la traccia migliore del disco.

Ribadisco, il problema non è cambiare genere o essere pop ma secondo me non è più accettabile che un gruppo attivo da oltre quindici anni non sia ancora in grado di trovare una propria dimensione e, oltretutto, si possa ancora permettere di fare passi falsi del genere.

Tracce consigliate: Invisible, One More Light.


giovedì 29 dicembre 2016

FOO FIGHTERS - THERE IS NOTHING LEFT TO LOSE


Non so se è solamente una mia impressione ma credo che There Is Nothing Left To Lose, uscito nel 1999, sia il disco dei Foo Fighters più sottovalutato.

L'album invece è un ottimo concentrato di rock radiofonico (come dimostra il celebre singolo "Learn To Fly") con un approccio più melodico rispetto ai due capitoli precedenti. Una scelta che venne premiata nel 2001 con la vittoria del primo Grammy Award come Best Rock Album.

Rispetto al precedente The Colour And The Shape del 1997 si può dire che ci sia un maggiore equilibrio: se il disco precedente alternava tracce tirate e lente, qua l'impeto rock è stato smorzato salvo un paio di episodi ("Breakout", "Stacked Actors") e anche le ballads sono più calibrate e d'effetto ("Aurora", "M.I.A.").

Per quanto riguarda la sua realizzazione, l'album è stato registrato in Virginia, lontano dai riflettori, nella tranquilla casa-studio di Dave Grohl, che ha realizzato anche tutte le parti di chitarra a seguito dell'abbandono di Franz Stahl (che tralaltro era appena subentrato al dimissionario Pat Smear). Alla batteria invece esordisce Taylor Hawkins, che diventa a tutti gli effetti un componente ufficiale del gruppo.

In sostanza There Is Nothing Left To Lose è un disco decisamente godibile, tra i più apprezzabili dei Foo Fighters, nonchè uno dei miei preferiti del loro repertorio.

Tracce consigliate: Breakout, Learn To Fly, M.I.A.


venerdì 28 ottobre 2016

IGGY & THE STOOGES - RAW POWER


L'altro giorno stavo camminando per le vie del centro storico di Firenze e quando sono arrivato in Piazza della Repubblica la mia mente non ha potuto fare a meno di pensare a quando vidi, proprio lì, gli Stooges live. Era il 27 Settembre del 2012 e fu un'esperienza più unica che rara, considerato che il concerto era pure ad ingresso gratuito. Comunque, quando penso ai The Stooges non posso che collegarli al loro disco che apprezzo di più.

Il terzo album della band di Iggy Pop, uscito nel 1973, è probabilmente ciò che di più grezzo si sia mai sentito nei primi anni Settanta: Raw Power (titolo decisamente azzeccato) è un disco di puro e selvaggio rock. Non che il precedente Fun House non lo fosse, però in questo lavoro le canzoni sono più dirette e meno acide (infatti non c'è il tocco jazz del sassofonista Steve MacKay) anche se non mancano ballate dal sapore blues ("I Need Somebody"). L'album rappresenta non solo il ritorno sulla scena della band, che si era sciolta nel 1970 a seguito di innumerevoli abusi di droga, ma fu anche il primo episodio discografico frutto di quella che diverrà una lunga collaborazione/amicizia tra Iggy Pop e David Bowie.

L'aspetto negativo del disco riguarda il mixaggio. Ufficialmente ne sono uscite due versioni. Quella originale del '73 fu realizzata dallo stesso Bowie che rese l'album un pò troppo piatto ed 'edulcorato', penalizzandone l'impatto sonoro. Nel 1997 fu realizzata una nuova versione, remixata dallo stesso Pop, che risultò troppo confusionaria e grezza, ai limiti della cacofonia.

Raw Power è quindi un disco ruvido, che anticipa il punk (non a caso è stato l'album preferito di Kurt Cobain), e che sancisce la fine della fase storica dei The Stooges, che si scioglieranno nuovamente l'anno successivo alla sua uscita.

"Honey gotta help me please
Somebody gotta save my soul!"

Tracce consigliate: Search And Destroy, Your Pretty Face Is Going To Hell, Raw Power.


giovedì 6 ottobre 2016

NARCOS - 2ª STAGIONE


E dopo quella di Gomorra è arrivata anche la seconda stagione di Narcos, la sorprendente serie tv di Netflix incentrata sulla figura del più grande narcotrafficante della storia, Pablo Emilio Escobar Gaviria.

Intanto c'è da dire che questo secondo capitolo non è altro che il naturale proseguimento del primo, visto che non ci sono sostanziali differenze tra i due e che, anzi, sembrano far parte di un unico blocco continuo. Di conseguenza i punti forti della serie sono rimasti gli stessi che hanno fatto la fortuna della prima stagione: i dialoghi in spagnolo non doppiati (ricordo che Wagner Moura, essendo brasiliano, non è madrelingua spagnolo), l'inserimento di immagini d'archivio autentiche e una fotografia pulita e curata.

Per quanto riguarda la storia, ammetto che non sia facile giudicare una serie dai connotati biografici nella quale inevitabilmente manca un pò l'effetto sorpresa, visto che si basa su fatti realmente accaduti. E' anche vero che l'intreccio tra realtà e fiction spesso sia labile, quindi è meglio fare una analisi su ciò che la serie vuole comunicare piuttosto che attenersi alla sequenza dei fatti. Narcos, come altre serie del filone "gangster/poliziesco", vuole mostrarci 'come funziona' in un paese dove regna l'illegalità, nel quale i 'buoni' si alleano con i 'cattivi' pur di raggiungere un obiettivo comune, nel quale non esistono valori genuini ma solo sete di soldi, nel quale un uomo può diventare uno dei più ricchi al mondo ma può anche perdere tutto in poco tempo. E' questa l'ottica con la quale è stata concepita questa serie, non ponendosi l'obiettivo di essere un mero documentario, e l'avvertenza prima di ogni puntata ne è la dimostrazione.


Ma tornando alla storia, se la prima stagione ha seguito le tappe dell'ascesa al potere di Pablo Escobar, un uomo tanto temuto dalle autorità quanto amato dalla gente del suo paese, la seconda stagione invece ne racconta l'inesorabile declino fino alla morte avvenuta il 2 Dicembre del 1993. Il declino non solo del 'Patron' (come lo chiamano i suoi sicari) ma in generale dell'uomo Escobar, in continua fuga, sempre più odiato, ormai solo e logorato nel fisico. Ed è proprio questa la novità di Narcos2: la focalizzazione sull'uomo. Essendoci un pò meno azione, è stato dedicato più spazio al lato psicologico di Escobar, facendo emergere le sue paure e fragilità, fino ad arrivare alla sua vita privata e al suo rapporto stretto con la famiglia.

Infine, piccola parentesi su due personaggi secondo me importanti all'interno della stagione. Il primo è il padre di Escobar, che compare solamente in due puntate ma che in un certo senso sancisce la fine 'morale' di Pablo. Il secondo è Limòn, un tassista dall'animo buono che viene risucchiato dal vortice del 'giro' criminale, perdendo tutto pur di rimanere al fianco di Escobar fino alla fine.

Purtroppo le recenti dichiarazioni di Sebastian Marroquin, il figlio di Escobar, sui presunti errori storici sparsi qua e là nella serie (ne individua ben ventotto) fanno un pò pensare, però nel suo genere Narcos si conferma una buona serie che merita di essere vista.

Ma la domanda adesso è una: la terza stagione riuscirà a mantenersi su questi livelli anche senza Pablo Escobar?


domenica 18 settembre 2016

SALMO - HELLVISBACK


Partiamo subito con la considerazione principale: Hellvisback ha tracciato un passo in avanti importante per il rap italiano. E questo perché ha dimostrato una volta per tutte che si può raggiungere un buon livello di commerciabilità senza fare necessariamente musica 'commerciale'.

Il quarto album di Salmo infatti nel giro di un paio di mesi è diventato disco di platino. Un risultato notevole per il genere, a maggior ragione se si considera che è stato raggiunto con poca promozione, senza super singoli né grandi featuring né tantomeno grandi passaggi radiofonici, a differenza di altri rappers nostrani che, sempre quest'anno, speravano di sfondare raccattando collaborazioni con noti cantautori o, peggio, cavalcando l'onda del reggaeton (vero Jake?).

Il motivo di tale successo è fondamentalmente uno: Hellvisback è un disco che suona bene. Certo, non è ai livelli dell'esordio The Island Chainsaw Massacre, ma non ha nemmeno gli alti e bassi di Death Usb e Midnite. Stavolta Salmo ha puntato tutto sull'impatto sonoro, a discapito dei testi che peccano nei contenuti (lui stesso ha ammesso di averli scritti in poco tempo), aggiungendoci un pizzico di concept (l'iconografia di Elvis).

Il sound dell'album è meno elettronico e più suonato pur rimanendo potente e moderno. E non a caso l'unica collaborazione di spessore è quella con Travis Barker, batterista dei Blink 182. Il risultato è che, a distanza di mesi dalla sua uscita, è un disco che si riascolta sempre volentieri, dimostrando una 'replay value' decisamente elevata. E non è una cosa da poco.

In conclusione, Hellvisback è tra i migliori album di rap italiano del 2016. Sperando in una maggiore attenzione sui testi per il prossimo lavoro...

Tracce consigliate: 7 Am, L'Alba.


lunedì 5 settembre 2016

LIMP BIZKIT - SIGNIFICANT OTHER


Siamo nel 1999. Il nu metal ormai sta decollando verso il successo planetario.

Significant Other, con i suoi dieci milioni di copie vendute, sarà l'album che proietterà i Limp Bizkit verso l'olimpo del nu metal. La consacrazione definitiva arriverà poi con il successivo Chocolate Starfish And The Hot Dog Flavored Water, che porterà alla band ancora più successo e, naturalmente, ancora più soldi.

Significant Other, secondo lavoro della band di Fred Durst, segue di due anni il debutto Three Dollar Bill Yalls ed è innegabile una certa diversità tra questi due album: laddove Three Dollar Bill Yalls era più rock, più grezzo, più incazzato, più cattivo, ma anche più immaturo, Significant Other è più equilibrato tra rock e rap, più curato, più collaudato, più spensierato, e più accessibile. Una cosa però lega indubbiamente i due lavori: il LimpBizkit style.

Significant Other infatti rappresenta più di ogni altro album lo stile dei biscottini di Jacksonsville: hip hop, scretches, samples, riff (nu)metal, stacchi da headbanging, testi diretti, e un'attitudine menefreghista e tamarra ma anche furbetta e ruffiana. Come detto prima, il cambiamento da Three Dollar Bill Yalls si avverte, già a partire dal produttore (da Ross Robinson a Terry Date, che produrrà anche i seguenti due capitoli della band): innanzitutto c'è da dire che in Significant Other è stata data molta più importanza alla sezione ritmica, cioè all'accoppiata Sam Rivers-John Otto (basso-batteria) e ai piatti di Dj Lethal (vero punto forte del LB style), mentre in Three Dollar Bill Yalls dominavano Fred Durst con le sue urla rabbiose e Wes Borland, che con la sua chitarra sfornava riff assassini. Qui invece il nostro Fred abbandona le urla per dedicarsi a fare il rapper quasi a tempo pieno (con la sua stranota voce nasale), mentre Wes si 'accontenta' di riff semplici ma efficaci (come in "Break Stuff").

Significant Other presenta 15 tracce, i cui testi parlano in maggior parte dei rapporti (turbolenti) tra uomo e donna. Impossibile non menzionare 3 hits come i singoli "Nookie", "Break Stuff" e "Re-Arranged", diventati dei cavalli di battaglia della band. Personalmente ritengo "Nookie" una delle migliori canzoni mai realizzate dai Limp Bizkit: perfetta unione tra hip hop (base da urlo!) e irruenza metal, con un testo tanto diretto quanto divertente ("I did it all for the nookie" e come dargli torto?!). A rimarcare l'influenza hip hop del disco c'è il quarto singolo "N 2 Gether Now", dove Durst collabora col rapper Method Man e il producer Dj Premier (entrambi provenienti dalla East Coast) per dare vita ad una vera e propria canzone rap (episodio, quella della canzone interamente rap, che i Bizkit riproporrano poi in ogni loro album). Altro pezzo forte del disco è "Nobody Like You", che vede la collaborazione di Jonathan Davis (Korn) e Scott Weiland (ex Stone Temple Pilots). La rabbia di "Trust?" ci riporta ai tempi di Three Dollar Bill Yalls, ed è insieme a "Nookie" la traccia migliore dell'album (fantastiche le strofe rappate-urlate da Durst). "Just Like This", "I'm Broke" e "9 Teen 9 Nine" non tradiscono il sound del disco: impossibile non muovere la testa. Ovviamente i Limp Bizkit non lasciano niente al caso e perciò c'è spazio anche per i mid-tempo: la già citata "Re-Arranged", la triste "Don't Go Off Wandering" e la ruffiana "No Sex" (con i cori dell'amico Aaron Lewis degli Staind). "Show Me What You Got" è puro divertimento e voglia di saltare ("then get the fuck out!") e prima dell'outro finale c'è anche tempo per un esperimento, "A Lesson Learned", decisamente atipica per gli standard Limp Bizkit e per la linea generale di Significant Other. Per finire, nella traccia conclusiva (la "Outro"), ad arricchire la lunga lista di ospiti illustri, compare la voce di Les Claypool, bassista dei Primus, che elogia l'elaborato di Durst e soci.

Significant Other è un ottimo album non solo all'interno della discografia dei Limp Bizkit (personalmente lo ritengo il loro lavoro migliore), ma anche all'interno della scena rapcore e nu metal (come anche Three Dollar Bill). E' un album che fa del compromesso la sua arma vincente, perché si divide tra hip hop e rock-metal, tra commerciale e underground. Un album quindi imperdibile per gli amanti del genere... SO COME AND GET IT!

Tracce consigliate: Break Stuff, Nookie, Trust.


mercoledì 3 agosto 2016

RED HOT CHILI PEPPERS - THE GETAWAY


Cosa aspettarsi da un gruppo come i Red Hot Chili Peppers nel 2016? Io sinceramente non molto.

E forse è proprio per questo che sono rimasto piacevolmente sorpreso da The Getaway. O forse sarà stato il contributo a tempo pieno del nuovo chitarrista Josh Klinghoffer, forse sarà stata la scelta di cambiare produttore dopo venticinque anni passando da Rick Rubin a Danger Mouse, o forse sarà stata la consapevolezza che il Rock non vende più come un tempo e che quindi è giusto provare nuove direzioni. Fatto sta che nell'undicesimo album di Kiedis e soci si avverte una, seppur piccola, intenzione di cambiare rotta.

Questo però non vuol dire che abbiano realizzato un lavoro memorabile. Anzi, The Getaway in generale è un album sulla sufficienza, ma con degli spunti interessanti. Il sound dei Red Hot versione 2016 è più soft ma nello stesso tempo anche accattivante, con una manciata di buone canzoni dal sapore funky ("The Getaway", "Go Robot") e qualche bel momento melodico ("The Longest Wave", "Encore"). Purtroppo non mancano episodi trascurabili, che spesso coincidono col tentativo dei quattro californiani di emulare il sound del passato ("We Turn Red", "Detroit") fallendo miseramente.

Tra alti e bassi, The Getaway rappresenta comunque un capitolo 'fresco' per i Red Hot Chili Peppers: un album discreto ma nulla di più.

Tracce consigliate: The Getaway, The Longest Wave.


venerdì 29 luglio 2016

GABRY PONTE - CHE NE SANNO I 2000


Ok questo pezzo è una trashata. E fin qui ci siamo tutti.
Ma al di là di questo, non ne capisco proprio il senso.

Una canzone che vorrebbe celebrare gli anni 90 ma che in realtà può piacere solo ai ragazzini del 2000: se l'intenzione di Gabry Ponte era quella di sfruttare l'effetto nostalgia avrebbe potuto tirare fuori un pezzo Italodance, invece di realizzare una banalissima traccia EDM. Banale non solo nella musica, ma anche nel testo di Danti, che non va oltre gli scontati riferimenti a Bim Bum Bam e al Game Boy... Per non parlare del titolo, scopiazzato da una nota pagina di Facebook, e del video che non c'entra niente con l'immaginario degli anni 90.

Ma tornando al discorso iniziale, in realtà la vera intenzione di Gabry Ponte era quella di scrivere una hit appositamente per le nuove generazioni, e non a caso il video in tre giorni ha già superato il milione di visualizzazioni su Youtube. Però, ribadisco, non comprendo molto il senso di tutto questa operazione.

Ben vengano le trashate ma stavolta proprio non ci siamo.


giovedì 28 luglio 2016

KANYE WEST - THE LIFE OF PABLO


The Life Of Pablo è un album che semplicemente non doveva uscire. O perlomeno non doveva uscire in un periodo dove Kanye West sta chiaramente dimostrando di essere in uno stato confusionale.

Un disco che poteva capitalizzare tutto l'hype che gravita intorno al suo autore, ma che invece è stato rovinato da una delle peggiori promozioni mai viste. Prima i numerosi cambi di titolo (So Help Me God, Swish, Waves), poi l'uscita a sorpresa solamente in streaming su Tidal, poi una nuova versione con le canzoni ritoccate, e infine la messa in vendita del disco dopo due mesi e solo sul sito ufficiale di West. Il tutto "arricchito" da un'infinità di tweet deliranti (tra cui spiccano l'annuncio della sua presunta bancarotta e gli attacchi a Wiz Khalifa). Il risultato è stato non solo quello di disorientare i propri fans con le versioni ritoccate, ma soprattutto quello di bruciare una buona parte delle potenziali vendite, favorendo il download illegale e facendo precipitare l'interesse generale.

Come la promozione, anche l'album risulta alquanto confusionario. Aldilà del fatto che il numero delle tracce è aumentato con l'uscita delle versioni (prima 18, poi 19 ed infine 20), The Life Of Pablo dà l'impressione di essere un calderone di canzoni senza un vero e proprio filo conduttore.

L'estro di Kanye West si sente ma stavolta pare soffocato dal suo stesso ego. Per fare degli esempi: la seconda parte di "Father Stretch My Hands" è in sostanza una marchetta a "Panda" (è vero che Desiigner è sotto l'etichetta di West, ma si poteva comunque evitare), il singolo "Famous" clamorosamente non riesce ad essere una hit nonostante la presenza di Rihanna (anche se il videoclip merita), e non capisco come una buona canzone come "30 Hours" sia stata rovinata da una coda finale inutile e senza senso. Non mancano comunque pezzi degni di nota e in pieno stile Kanye, su tutti "No More Parties in LA" con Kendrick Lamar, che in una tracklist più concentrata avrebbero tenuto il disco ad un livello molto più alto.

The Life Of Pablo è un buon album ma con molti alti e bassi, la cui pecca principale è la mancanza di una vera identità. Ed è strano dopo un disco dal forte impatto come l'ottimo Yeezus.

Tracce consigliate: No More Parties in LA, Real Friends, FML.


lunedì 25 luglio 2016

QUEENS OF THE STONE AGE - SONGS FOR THE DEAF


Semplicemente, Songs For The Deaf è un album di sano e ruvido Rock. E non poteva essere altrimenti con una line-up formata da Josh Homme, Nick Oliveri, Mark Lanegan e Dave Grohl.

L'idea è quella di rappresentare un viaggio in macchina attraverso il selvaggio deserto californiano (non a caso sono presenti dei finti intermezzi radiofonici tra una traccia e l'altra), e tale obiettivo viene raggiunto grazie alla carica che fuoriesce da tutte le canzoni, da quelle più tirate a quelle più tenebrose. In sostanza, c'è ben altro oltre alla famosa "No One Knows".

Con Songs For The Deaf i Queens Of The Stone Age fanno un deciso salto di qualità, realizzando non solo il loro migliore album, ma anche uno dei migliori dischi Rock degli anni Duemila.

Tracce consigliate: First It Giveth, Song For The Dead, Go With The Flow.


martedì 5 luglio 2016

GERRY (G. VAN SANT)


Qualche giorno fa mi sono visto questo film mai arrivato in Italia, tant'è che non esiste una versione doppiata. Uscito nel 2002, è il primo capitolo della cosiddetta "Trilogia della morte" di Gus Van Sant, che comprende anche Elephant e Last Days.

Pur conoscendo lo stile 'particolare' di Van Sant, devo ammettere che ho fatto molta fatica ad arrivare alla fine, nonostante duri poco più di un'ora e mezza. E' un film difficile e la sua visione è a dir poco estenuante: ambientato completamente nello sconfinato deserto americano, con due soli protagonisti (Matt Damon e Casey Affleck, anche co-autori) e una trama quasi inesistente, dialoghi ridotti al minimo, e scene fatte di lunghi e lenti piani sequenza.

Ma nonostante la fatica, nei giorni seguenti ho ripensato molto a questo film.

E questo perché è volutamente difficile ed estenuante. Perché solo in questo modo lo spettatore può immedesimarsi nei due protagonisti (che portano lo stesso nome, Gerry) e provare quello che stanno vivendo. Perché perdersi nel deserto, senza punti di riferimento e senza forze porta a vivere un'esperienza inevitabilmente difficile ed estenuante. Perché il pensiero della noia (nello spettatore) si avvicina sempre di più a quello della morte (nei protagonisti).

Riassumendo, Gerry è un film lento, silenzioso, noioso, triste e difficile da vedere. Ma a volte anche certe esperienze della vita lo sono, solo che ce ne dimentichiamo.


giovedì 30 giugno 2016

GOMORRA - 2ª STAGIONE


*AVVISO: presenza di spoiler*

Si è conclusa anche la seconda stagione di Gomorra e il giudizio generale è molto positivo.

Intanto posso dire che Gomorra si afferma definitivamente come la serie più importante del panorama italiano insieme a Romanzo Criminale. E questo grazie ad un racconto crudo e realistico della malavita napoletana e dell'ambiente in cui essa è radicata.

Ma di differenze tra la prima stagione e la seconda ce ne sono eccome.

La seconda stagione si è concentrata quasi esclusivamente sull'evoluzione delle vicende riguardanti la gestione delle piazze di Secondigliano e Scampia, dall'ascesa di Ciro Di Marzio e della sua alleanza fino al ritorno prepotente di Pietro Savastano. Stavolta non è stato lasciato quasi alcuno spazio a vicende 'extra', ad eccezione della storia di Marinella (nuora di Scianel, ndr) che comunque alla fine si è intrecciata con la vicenda principale. La prima stagione invece, almeno nella prima parte, ha avuto più un ruolo introduttivo e descrittivo sui modi di agire della famiglia Savastano e in generale della Camorra. Basti pensare alla storia degli africani e a quella delle elezioni politiche, utili a capire le varie sfaccettature della criminalità organizzata ma meno importanti ai fini delle vicende di potere che hanno coinvolto il clan di Don Pietro.

Un altro aspetto fondamentale, e grandioso, della seconda stagione è la focalizzazione sui personaggi. Grazie alla nascita dell'alleanza tra i vari boss, in Gomorra 2 vengono introdotti tanti nuovi personaggi (Scianel, O' Principe, O' Mulatto, Patrizia, Lelluccio) e nello stesso tempo vengono caratterizzati alcuni personaggi più marginali della prima stagione, dandone maggiore risalto (O' Nano, Malammore e soprattutto O' Track), e rivelando alcuni aspetti 'inediti' di alcuni dei personaggi principali (Salvatore Conte, Don Pietro). Non a caso alcune puntate ruotano intorno ad un unico personaggio, con il fine di creare una forte empatia nello spettatore, come successo con Scaniel, Conte e O'Principe. Meno risalto invece è stato dato ai due protagonisti della serie, Ciro e Genny, anche se ad un'analisi più attenta si capisce che sia l'uno che l'altro abbiamo avuto un'evoluzione importante nel corso della serie. Ciro dallo scugnizzo ambizioso della prima stagione si è trasformato in un leader intelligente ma consapevole di vivere in una realtà troppo dura anche per lui. Genny invece è rimasto in ombra in parecchie puntate ma alla fine, grazie alla sua furbizia e alla sua freddezza, è riuscito ad ottenere tutto ciò che Ciro, sconfitto, nel frattempo ha perso: il potere, gli affari e una nuova famiglia, slegandosi finalmente dalla figura opprimente del padre. Ed aggiungo che il fatto che loro due siano le figure fondamentali della serie si capisce anche dalla puntata girata a Trieste, dove i due si trovano faccia a faccia per la prima volta dopo i fatti della prima stagione: una delle puntate migliori, dove il livello di tensione è altissimo.


Un'altra cosa, i morti. E' quello che molti si aspettavano e in questo senso gli sceneggiatori hanno accontentato il pubblico. Indubbiamente in questa seconda stagione ci sono state molte morti, alcune anche molto violente e 'controverse', come quella di Maria Rita (figlia di Ciro, ndr), che ha provocato non poche polemiche sui social network. Ma la criminalità organizzata è anche questo: non si fa problemi ad uccidere nessuno. Gomorra è una serie cruda e auto-censurarsi non avrebbe avuto senso.

Infine, se il finale della scorsa stagione lasciava intravedere delle prospettive molto interessanti (il ritorno di Don Pietro e la vendetta di Genny verso Ciro), con la morte di Don Pietro e di quasi tutti i boss della zona la prospettiva è un grosso punto interrogativo. Questo può togliere un po' di aspettativa ma gli scenari che si apriranno nella terza stagione, essendo meno delineati, possono essere molteplici e intriganti.


sabato 25 giugno 2016

ELEPHANT (G. VAN SANT)


Trionfatore al Festival di Cannes del 2003 (Palma d'Oro e miglior regia), Elephant è un lungometraggio ispirato ad un fatto che sconvolse l'opinione pubblica americana alla fine degli anni Novanta, ossia la strage della Columbine High School.

In quel massacro morirono tredici persone ma, nonostante non fu tra i più violenti nella storia delle stragi scolastiche avvenute negli Stati Uniti (basti pensare alla strage della Virginia Tech dove morirono trentadue persone), è sicuramente quello che ha avuto il maggior risalto mediatico sulla società americana. Molti furono i capri espiatori scelti dai media: videogiochi, cartoni animati, fino ad arrivare soprattutto al mondo della musica. I più bersagliati furono Marilyn Manson ed Eminem, accusati di aver ispirato il massacro tramite i testi espliciti delle loro canzoni. E non fu un caso che i loro album che ritengo migliori (Holy Wood e The Marshall Mathers Lp) sono stati proprio quelli ispirati a tutta questa faccenda, entrambi usciti nel 2000, ad un anno dalla strage. Il massacro della Columbine inoltre ispirò il film Bowling For Columbine del regista Michael Moore, che pose l'attenzione sull'uso incontrollato delle armi negli Stati Uniti, e che nel 2003 vinse l'Oscar come miglior documentario. Ma perché tutta questa attenzione verso quel massacro? Perché è figlio dei suoi tempi. Siamo nel 1999. In quegli anni la società americana aveva un'influenza molto forte e gli americani ne erano consapevoli. C'era MTV, dove potevi vedere le star del Pop politicamente corrette e i gruppi Metal con testi violenti, c'era Microsoft, c'era Napster, c'era McDonalds, c'erano i videogiochi realistici come Carmageddon, c'erano i cartoni animati per adulti come South Park e i Simpsons, c'erano le tenere storie adolescenziali di serie tv come Dawson's Creek, e c'erano, immancabili, le villette a schiera dei film americani. E tutto questo "mondo" era tenuto insieme dai media, che a loro volta esercitavano una forte influenza. Ed è in questo contesto che la strage della Columbine High School ha "rovinato" quel mondo superficialmente libero ma profondamente contraddittorio, facendo sorgere il dubbio che in realtà i ragazzi di quegli anni fossero insoddisfatti e confusi. La società americana ha dovuto interrogarsi sul perché di quella strage, ma invece di fare un'analisi approfondita fu scelta la via più semplice della ricerca, appunto, dei capri espiatori.

Ma veniamo ad Elephant... Il film descrive quella giornata, seguendo per più di un'ora, tramite molti piani sequenza, alcuni degli studenti della scuola (compresi i due assassini) prima del massacro. La regia di Van Sant è volutamente fredda e distaccata, sia nella rappresentazione della noiosa quotidianità scolastica, sia durante la strage, resa in maniera più realistica ed agghiacciante dall'assenza di musiche o effetti sonori. Elephant non mostra solamente un terribile fatto di cronaca, ma rivela in particolare come gli adolescenti americani siano a loro modo tutti vittime della loro stessa società.

Un ottimo film. Da vedere, anche per capire l'America di quegli anni.


mercoledì 22 giugno 2016

THE NEON DEMON (N. W. REFN)


Domenica sono andato al cinema perché non volevo perdermi The Neon Demon, il nuovo film di Nicolas Winding Refn. "Quello di Drive" per gli ignoranti.

A me Refn piace, e non solo perché è un ottimo regista. Ma anche perché con Drive è entrato nell'olimpo dei registi che contano, ma se n'è fregato altamente continuando a fare il suo cinema. Infatti ha realizzato Only God Forgives, un film poco adatto al grande pubblico che di conseguenza non fu accolto molto bene. Ma, come detto, lui se ne frega e ha continuato il suo percorso con The Neon Demon, un altro film non per tutti, che infatti è stato fischiato al festival di Cannes.

Dopo Ryan Gosling, il regista danese stavolta si avvale della bellissima Elle Fanning (che interpreta Jesse, una giovane aspirante modella) per criticare il mondo della moda e delle passerelle. Un mondo che, attraverso gli occhi di Refn, appare marcio, competitivo e superficiale, nel quale chi vuole emergere osserva con invidia chi ha successo. Ma nel caso di Jesse è il contrario, perchè tutti vogliono qualcosa da lei: la sua bellezza naturale, la sua giovinezza, la sua 'luce', il suo amore.

Ma in sostanza com'è The Neon Demon? E' un film 'refniano', quindi inquietante, oscuro, a tratti perverso e in un certo senso metafisico: la pellicola infatti può essere intesa come una grande metafora sull'invidia e sulla ricerca della bellezza a tutti i costi. Visivamente è molto bello, grazie ad una fotografia curata e incentrata sui colori blu e rosso (che probabilmente simboleggiano l'innocenza da una parte e la fame di successo dall'altra). Ottima anche la colonna sonora di Cliff Martinez, che in passato ha curato le musiche di Drive e Only God Forgives.

Consigliato per gli ammiratori di Refn. Per tutti gli altri, dategli una possibilità: vi perdereste un gran bel film.


martedì 21 giugno 2016

BLINK 182 - BORED TO DEATH


I Blink 182 sono tornati con una nuova canzone, e un nuovo album in uscita a Luglio.

Ascoltando "Bored To Death" si può facilmente pensare "è il solito Punk/Pop Rock". Solito?! Questo discorso lo si poteva fare dieci o quindici anni fa, quando su MTV c'erano loro, i Green Day, gli Offspring, i Sum 41, i Good Charlotte e altri gruppetti californiani. Ma adesso cosa c'è? Niente. In tv, in radio e nelle classifiche questo genere ormai è sparito.

Quindi sentire i Blink 182 che fanno i Blink 182, anche se sono 'grandi' e non sono più quelli di "What's My Age Again", mi fa un effetto decisamente positivo: la canzone quindi mi piace, non è niente di sconvolgente ma è abbastanza melodica e orecchiabile e il ritornello ha un bel tiro. Probabilmente se fosse uscita qualche anno fa avrebbe anche avuto un buon successo, ma siamo nel 2016...

Certo, fa strano vedere Matt Skiba al posto di Tom De Longe. Ma se i Blink 182 con Tom sono quelli dell'ultimo album Neighborhoods, meglio che continuino senza di lui.

"Life is too short to last long". Alla fine sono sempre i Blink...


lunedì 20 giugno 2016

NIRVANA - IN UTERO


In Utero è l'ultima opera discografica dei Nirvana, pubblicata nel 1993, un anno prima del suicidio di Kurt Cobain. L'album fotografa lo stato d'animo della band, ed in particolare del suo leader, che manifesta l'intenzione di prendere le distanze dal successo mondiale ottenuto con Nevermind.

Il disco (che Cobain inizialmente voleva intitolare I Hate Myself And I Want To Die) infatti è molto più grezzo e rabbioso del suo predecessore, con sonorità in alcuni punti quasi Noise Rock (grazie alla produzione di Steve Albini), anche se non mancano episodi più melodici. Il testamento di Kurt Cobain è quindi un album sofferto e sincero: il vero masterpiece dei Nirvana.

Da annoverare tra i grandi album degli anni novanta.

Tracce consigliate: Scentless Apprentice, Rape Me, All Apologies.