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mercoledì 28 giugno 2017

CONTROL (A. CORBIJN)


Nel 2007, dieci anni fa, uscì Control, l'ottimo debutto cinematografico del regista Anton Corbijn, noto prima di allora per aver realizzato videoclip musicali per grandi gruppi come U2, Depeche Mode e Nirvana.

Control racconta la tormentata storia di una grande icona del rock, ossia Ian Curtis, leader dei Joy Division. La pellicola, che segue fedelmente la biografia dell'ex moglie Deborah "Touching From A Distance", ripercorre le tappe più importanti della vita di Curtis (un eccezionale Sam Riley) a partire dall'adolescenza, ma anche della carriera degli stessi Joy Division. Un percorso in bianco e nero che passa dai Warsaw (il nome della band agli esordi), dalle prime performance televisive e dai primi tour, dalle canzoni che verranno composte per il capolavoro Unknown Pleasures (tra cui "She's Lost Control", da cui è tratto il titolo del film), fino alla crisi che porterà Curtis al suicidio e al conseguente scioglimento del gruppo, che proseguirà col nuovo nome New Order.

Il difetto di questa opera è sostanzialmente uno: quello di non aver approfondito a pieno le cause che hanno spinto il cantante inglese alla sua tragica decisione, puntando un po' troppo sulle sue vicende sentimentali. Il suo malessere fu la conseguenza di una depressione e di un male di vivere talmente forti che sembra riduttivo concentrarsi solamente sulla travagliata relazione con la moglie.

Riassumendo, Control è un buon 'strumento' per conoscere la storia dei Joy Division e del loro leader. Da vedere per i fans, vivamente consigliato per tutti gli altri.

martedì 5 luglio 2016

GERRY (G. VAN SANT)


Qualche giorno fa mi sono visto questo film mai arrivato in Italia, tant'è che non esiste una versione doppiata. Uscito nel 2002, è il primo capitolo della cosiddetta "Trilogia della morte" di Gus Van Sant, che comprende anche Elephant e Last Days.

Pur conoscendo lo stile 'particolare' di Van Sant, devo ammettere che ho fatto molta fatica ad arrivare alla fine, nonostante duri poco più di un'ora e mezza. E' un film difficile e la sua visione è a dir poco estenuante: ambientato completamente nello sconfinato deserto americano, con due soli protagonisti (Matt Damon e Casey Affleck, anche co-autori) e una trama quasi inesistente, dialoghi ridotti al minimo, e scene fatte di lunghi e lenti piani sequenza.

Ma nonostante la fatica, nei giorni seguenti ho ripensato molto a questo film.

E questo perché è volutamente difficile ed estenuante. Perché solo in questo modo lo spettatore può immedesimarsi nei due protagonisti (che portano lo stesso nome, Gerry) e provare quello che stanno vivendo. Perché perdersi nel deserto, senza punti di riferimento e senza forze porta a vivere un'esperienza inevitabilmente difficile ed estenuante. Perché il pensiero della noia (nello spettatore) si avvicina sempre di più a quello della morte (nei protagonisti).

Riassumendo, Gerry è un film lento, silenzioso, noioso, triste e difficile da vedere. Ma a volte anche certe esperienze della vita lo sono, solo che ce ne dimentichiamo.


sabato 25 giugno 2016

ELEPHANT (G. VAN SANT)


Trionfatore al Festival di Cannes del 2003 (Palma d'Oro e miglior regia), Elephant è un lungometraggio ispirato ad un fatto che sconvolse l'opinione pubblica americana alla fine degli anni Novanta, ossia la strage della Columbine High School.

In quel massacro morirono tredici persone ma, nonostante non fu tra i più violenti nella storia delle stragi scolastiche avvenute negli Stati Uniti (basti pensare alla strage della Virginia Tech dove morirono trentadue persone), è sicuramente quello che ha avuto il maggior risalto mediatico sulla società americana. Molti furono i capri espiatori scelti dai media: videogiochi, cartoni animati, fino ad arrivare soprattutto al mondo della musica. I più bersagliati furono Marilyn Manson ed Eminem, accusati di aver ispirato il massacro tramite i testi espliciti delle loro canzoni. E non fu un caso che i loro album che ritengo migliori (Holy Wood e The Marshall Mathers Lp) sono stati proprio quelli ispirati a tutta questa faccenda, entrambi usciti nel 2000, ad un anno dalla strage. Il massacro della Columbine inoltre ispirò il film Bowling For Columbine del regista Michael Moore, che pose l'attenzione sull'uso incontrollato delle armi negli Stati Uniti, e che nel 2003 vinse l'Oscar come miglior documentario. Ma perché tutta questa attenzione verso quel massacro? Perché è figlio dei suoi tempi. Siamo nel 1999. In quegli anni la società americana aveva un'influenza molto forte e gli americani ne erano consapevoli. C'era MTV, dove potevi vedere le star del Pop politicamente corrette e i gruppi Metal con testi violenti, c'era Microsoft, c'era Napster, c'era McDonalds, c'erano i videogiochi realistici come Carmageddon, c'erano i cartoni animati per adulti come South Park e i Simpsons, c'erano le tenere storie adolescenziali di serie tv come Dawson's Creek, e c'erano, immancabili, le villette a schiera dei film americani. E tutto questo "mondo" era tenuto insieme dai media, che a loro volta esercitavano una forte influenza. Ed è in questo contesto che la strage della Columbine High School ha "rovinato" quel mondo superficialmente libero ma profondamente contraddittorio, facendo sorgere il dubbio che in realtà i ragazzi di quegli anni fossero insoddisfatti e confusi. La società americana ha dovuto interrogarsi sul perché di quella strage, ma invece di fare un'analisi approfondita fu scelta la via più semplice della ricerca, appunto, dei capri espiatori.

Ma veniamo ad Elephant... Il film descrive quella giornata, seguendo per più di un'ora, tramite molti piani sequenza, alcuni degli studenti della scuola (compresi i due assassini) prima del massacro. La regia di Van Sant è volutamente fredda e distaccata, sia nella rappresentazione della noiosa quotidianità scolastica, sia durante la strage, resa in maniera più realistica ed agghiacciante dall'assenza di musiche o effetti sonori. Elephant non mostra solamente un terribile fatto di cronaca, ma rivela in particolare come gli adolescenti americani siano a loro modo tutti vittime della loro stessa società.

Un ottimo film. Da vedere, anche per capire l'America di quegli anni.


mercoledì 22 giugno 2016

THE NEON DEMON (N. W. REFN)


Domenica sono andato al cinema perché non volevo perdermi The Neon Demon, il nuovo film di Nicolas Winding Refn. "Quello di Drive" per gli ignoranti.

A me Refn piace, e non solo perché è un ottimo regista. Ma anche perché con Drive è entrato nell'olimpo dei registi che contano, ma se n'è fregato altamente continuando a fare il suo cinema. Infatti ha realizzato Only God Forgives, un film poco adatto al grande pubblico che di conseguenza non fu accolto molto bene. Ma, come detto, lui se ne frega e ha continuato il suo percorso con The Neon Demon, un altro film non per tutti, che infatti è stato fischiato al festival di Cannes.

Dopo Ryan Gosling, il regista danese stavolta si avvale della bellissima Elle Fanning (che interpreta Jesse, una giovane aspirante modella) per criticare il mondo della moda e delle passerelle. Un mondo che, attraverso gli occhi di Refn, appare marcio, competitivo e superficiale, nel quale chi vuole emergere osserva con invidia chi ha successo. Ma nel caso di Jesse è il contrario, perchè tutti vogliono qualcosa da lei: la sua bellezza naturale, la sua giovinezza, la sua 'luce', il suo amore.

Ma in sostanza com'è The Neon Demon? E' un film 'refniano', quindi inquietante, oscuro, a tratti perverso e in un certo senso metafisico: la pellicola infatti può essere intesa come una grande metafora sull'invidia e sulla ricerca della bellezza a tutti i costi. Visivamente è molto bello, grazie ad una fotografia curata e incentrata sui colori blu e rosso (che probabilmente simboleggiano l'innocenza da una parte e la fame di successo dall'altra). Ottima anche la colonna sonora di Cliff Martinez, che in passato ha curato le musiche di Drive e Only God Forgives.

Consigliato per gli ammiratori di Refn. Per tutti gli altri, dategli una possibilità: vi perdereste un gran bel film.