Ok questo pezzo è una trashata. E fin qui ci siamo tutti.
Ma al di là di questo, non ne capisco proprio il senso.
Una canzone che vorrebbe celebrare gli anni 90 ma che in realtà può piacere solo ai ragazzini del 2000: se l'intenzione di Gabry Ponte era quella di sfruttare l'effetto nostalgia avrebbe potuto tirare fuori un pezzo Italodance, invece di realizzare una banalissima traccia EDM. Banale non solo nella musica, ma anche nel testo di Danti, che non va oltre gli scontati riferimenti a Bim Bum Bam e al Game Boy... Per non parlare del titolo, scopiazzato da una nota pagina di Facebook, e del video che non c'entra niente con l'immaginario degli anni 90.
Ma tornando al discorso iniziale, in realtà la vera intenzione di Gabry Ponte era quella di scrivere una hit appositamente per le nuove generazioni, e non a caso il video in tre giorni ha già superato il milione di visualizzazioni su Youtube. Però, ribadisco, non comprendo molto il senso di tutto questa operazione.
Ben vengano le trashate ma stavolta proprio non ci siamo.
The Life Of Pablo è un album che semplicemente non doveva uscire. O perlomeno non doveva uscire in un periodo dove Kanye West sta chiaramente dimostrando di essere in uno stato confusionale.
Un disco che poteva capitalizzare tutto l'hype che gravita intorno al suo autore, ma che invece è stato rovinato da una delle peggiori promozioni mai viste. Prima i numerosi cambi di titolo (So Help Me God, Swish, Waves), poi l'uscita a sorpresa solamente in streaming su Tidal, poi una nuova versione con le canzoni ritoccate, e infine la messa in vendita del disco dopo due mesi e solo sul sito ufficiale di West. Il tutto "arricchito" da un'infinità di tweet deliranti (tra cui spiccano l'annuncio della sua presunta bancarotta e gli attacchi a Wiz Khalifa). Il risultato è stato non solo quello di disorientare i propri fans con le versioni ritoccate, ma soprattutto quello di bruciare una buona parte delle potenziali vendite, favorendo il download illegale e facendo precipitare l'interesse generale.
Come la promozione, anche l'album risulta alquanto confusionario. Aldilà del fatto che il numero delle tracce è aumentato con l'uscita delle versioni (prima 18, poi 19 ed infine 20), The Life Of Pablo dà l'impressione di essere un calderone di canzoni senza un vero e proprio filo conduttore.
L'estro di Kanye West si sente ma stavolta pare soffocato dal suo stesso ego. Per fare degli esempi: la seconda parte di "Father Stretch My Hands" è in sostanza una marchetta a "Panda" (è vero che Desiigner è sotto l'etichetta di West, ma si poteva comunque evitare), il singolo "Famous" clamorosamente non riesce ad essere una hit nonostante la presenza di Rihanna (anche se il videoclip merita), e non capisco come una buona canzone come "30 Hours" sia stata rovinata da una coda finale inutile e senza senso. Non mancano comunque pezzi degni di nota e in pieno stile Kanye, su tutti "No More Parties in LA" con Kendrick Lamar, che in una tracklist più concentrata avrebbero tenuto il disco ad un livello molto più alto.
The Life Of Pablo è un buon album ma con molti alti e bassi, la cui pecca principale è la mancanza di una vera identità. Ed è strano dopo un disco dal forte impatto come l'ottimo Yeezus.
Tracce consigliate: No More Parties in LA, Real Friends, FML.
Semplicemente, Songs For The Deaf è un album di sano e ruvido Rock. E non poteva essere altrimenti con una line-up formata da Josh Homme, Nick Oliveri, Mark Lanegan e Dave Grohl.
L'idea è quella di rappresentare un viaggio in macchina attraverso il selvaggio deserto californiano (non a caso sono presenti dei finti intermezzi radiofonici tra una traccia e l'altra), e tale obiettivo viene raggiunto grazie alla carica che fuoriesce da tutte le canzoni, da quelle più tirate a quelle più tenebrose. In sostanza, c'è ben altro oltre alla famosa "No One Knows".
Con Songs For The Deaf i Queens Of The Stone Age fanno un deciso salto di qualità, realizzando non solo il loro migliore album, ma anche uno dei migliori dischi Rock degli anni Duemila.
Tracce consigliate: First It Giveth, Song For The Dead, Go With The Flow.
E' un pò tardi ma chissenefrega. La classifica dei migliori dieci album del 2015 secondo io il mio modestissimo parere:
10. Earl Sweatshirt - I Don't Like Shit, I Don't Go Outside
Quando un rapper giovane ma con tanti problemi personali, membro di una crew importante e sulla via del successo decide di mollare tutto, di rinchiudersi in casa, di sfondarsi di canne e di fare un album per conto suo il risultato è un disco incazzato, tetro e a tratti claustrofobico. Considerato lo stile 'legnoso' di Earl, il disco scorre abbastanza bene. Per me migliore del tanto acclamato Doris.
Questo disco è la prova che a volte le reunion hanno un senso. Niente di clamoroso, ma un buon disco Pop-Rock con un concept incentrato sulla cultura orientale.
Un tempo c'era il movimento Metalcore/Deathcore. Tra chi si è sciolto e tra chi non ha fatto altro che fare copia-incolla negli anni, i Bring Me The Horizon hanno intrapreso un'evoluzione del proprio sound, e questo That's The Spirit è un ulteriore tassello: il suono si è ulteriormente 'ammorbidito' ma questo non è necessariamente un male. Non è il loro migliore album ma conferma la band come una delle migliori (se non la migliore) tra quelle uscite dal calderone del "metal moderno".
Le notti californiane. Un ottimo indizio su quello che è questo disco: abbandonate le sonorità Surf Rock/Lofi degli esordi, i Best Coast realizzano un disco di solido Pop Rock.
Tracce consigliate: California Nights, When Will I Change.
Il grande ritorno di Dr. Dre è un disco di tutto rispetto che celebra la grande annata del West Coast Rap, con ospiti di assoluto livello e sonorità al passo coi tempi. Non so che aspettative avesse la gente ma era ovvio che non ci si potesse aspettare un altro album epocale come The Chronic e 2001.
L'album Pop del 2015. Orecchiabile, con momenti potenti ma anche dolci, e quel tocco di stranezza tipico di Grimes. Un disco da ascoltare in qualsiasi momento.
Un esordio grandioso per questo giovane rapper californiano. Un doppio album dove Vince Staples racconta un periodo della sua vita passata: l'estate del 2006 che gli ha cambiato la vita, in cui ha capito che la vita di strada è una cosa veramente seria. E la copertina che ricorda Unknown Pleasures dei Joy Division è un indizio non da poco sul mood del disco.
Pubblicato così dal nulla, con questo mixtape Drake ha fatto il salto di qualità che volevo, grazie ad un tappeto sonoro 'dark' e minimale che rende il sound omogeneo per tutta la durata del disco.
E' innegabile, questo è un album che verrà ricordato. Personalmente preferisco Good Kid Maad City ma riconosco che stavolta Kendrick Lamar abbia realizzato qualcosa di più di un semplice album Rap. Lo si capisce dalle scelte musicali (uso di strumenti veri e propri, tributi alle radici della Black Music), dai testi, dal concept in generale. Un disco che testimonia che l'Hip Hop sta vivendo un periodo di brillantezza che nessun altro genere al momento ha.
Tracce consigliate: These Walls, The Blacker The Berry.
Qualche giorno fa mi sono visto questo film mai arrivato in Italia, tant'è che non esiste una versione doppiata. Uscito nel 2002, è il primo capitolo della cosiddetta "Trilogia della morte" di Gus Van Sant, che comprende anche Elephant e Last Days.
Pur conoscendo lo stile 'particolare' di Van Sant, devo ammettere che ho fatto molta fatica ad arrivare alla fine, nonostante duri poco più di un'ora e mezza. E' un film difficile e la sua visione è a dir poco estenuante: ambientato completamente nello sconfinato deserto americano, con due soli protagonisti (Matt Damon e Casey Affleck, anche co-autori) e una trama quasi inesistente, dialoghi ridotti al minimo, e scene fatte di lunghi e lenti piani sequenza.
Ma nonostante la fatica, nei giorni seguenti ho ripensato molto a questo film.
E questo perché è volutamente difficile ed estenuante. Perché solo in questo modo lo spettatore può immedesimarsi nei due protagonisti (che portano lo stesso nome, Gerry) e provare quello che stanno vivendo. Perché perdersi nel deserto, senza punti di riferimento e senza forze porta a vivere un'esperienza inevitabilmente difficile ed estenuante. Perché il pensiero della noia (nello spettatore) si avvicina sempre di più a quello della morte (nei protagonisti).
Riassumendo, Gerry è un film lento, silenzioso, noioso, triste e difficile da vedere. Ma a volte anche certe esperienze della vita lo sono, solo che ce ne dimentichiamo.